Onorevoli Colleghi! - I recenti casi di iscrizioni-fantasma denunciate all'interno della Margherita e la stessa polemica apertasi all'interno del centro-sinistra a proposito della «sparizione» degli elenchi di oltre quattro milioni di elettori che avrebbero partecipato alle «primarie» per la designazione di Romano Prodi a candidato premier dell'Unione gettano ombre inquetanti sul sistema dei partiti e sulla stessa democrazia italiana. Diventa quindi sempre più centrale un aspetto fondamentale nella vita democratica della Nazione: quello garantito dall'articolo 49 della Costituzione, che recita testualmente che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Questo principio risulta largamente disatteso nelle legislature che sono alle nostre spalle e merita di essere riportato alla luce proprio in alternativa o almeno in parallelo al rituale dibattito sul sistema elettorale. Nessun sistema elettorale sarà mai considerato perfetto se non si risolverà alla radice il problema rappresentato dalla democrazia interna ai partiti, che il costituente affidò inascoltato al legislatore ordinario. È da comprendere la scelta «morbida» della Carta costituzionale: chi ha avuto modo di leggerne gli atti ricorderà la forte opposizione all'introduzione di una ulteriore norma che obbligasse i partiti a rendere pubblici i bilanci. Ma erano gli anni dei finanziamenti incrociati e opposti, provenienti da oltrefrontiera, alle grandi forze politiche del Paese.
      I tempi recenti, seguiti all'approvazione e all'applicazione della vigente legge elettorale (ma il tema delle oligarchie che decidono le candidature ha lo stesso difetto

 

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nei sistemi maggioritari), testimoniano eloquentemente la validità di quanto affermiamo. L'ultima campagna elettorale, con la definizione delle cosiddette liste bloccate - non che sia migliore il sistema delle preferenze, che espone al rischio di corruttela e allo scontro fratricida nei partiti - ha provocato autentiche lacerazioni nelle forze politiche.
      In alcuni casi ci sono state anche dimissioni dai vari incarichi di partito, in altri le lamentele per il posto in lista sono state arginate addirittura con la promessa che, in caso di vittoria, gli esclusi sarebbero entrati nel Governo.
      Molte critiche hanno riguardato l'assenza di qualunque rapporto tra radicamento territoriale e liste elettorali e il mancato coinvolgimento delle classi dirigenti locali dei partiti politici.
      Occorre riflettere sulle cause, non sugli effetti del problema. E la causa sta proprio nella mancata attuazione dell'articolo 49 della Costituzione. Accadeva lo stesso con i collegi del sistema maggioritario e con le cosiddette candidature catapultate nel territorio.
      È evidente che non sono sufficienti le norme interne ai partiti, che pur meritoriamente hanno dato vita a organismi di garanzia e di disciplina interni. Ma sono istituti che possono tutelare la lesione dei diritti degli iscritti nel momento in cui essi - come tutti sanno - sono nominati proprio da quanti dirigono le stesse forze politiche?
      Se l'elezione o qualsiasi nomina dipendono dal vertice del partito e non dal cittadino o dalla democratica decisione degli iscritti al partito in cui si milita, sarà un tutt'uno mantenere fedeltà verso l'autorità nominante e non al mandato ricevuto.
      È dunque il momento di passare dalla democrazia dei partiti alla democrazia della partecipazione. I partiti restino lo strumento principale finalizzato al dispiegamento della sovranità popolare, ma il rischio di deriva oligarchica comporta il rischio dell'esatto contrario.
      Ha scritto don Sturzo: «La democrazia parlamentare è inseparabile da partiti liberi, organizzati democraticamente, qualificati da idealità specifiche e chiari programmi, che consentono ai cittadini di concorrere attivamente alla determinazione della politica nazionale».
      Va dunque rivitalizzato il patto tra cittadini e partiti. I primi finalmente sovrani, i secondi non più «arbitri arbitrari» della politica. Gli stessi statuti vanno resi pubblici, condizionando l'erogazione del finanziamento ai partiti al rispetto delle norme che liberamente e in ossequio alla legge si danno.
      Hanno ragione quanti sostengono che una democrazia senza partiti non è auspicabile. Ma proprio perché non avvenga l'opposto, ovvero partiti senza regole, è bene pensare a nuove forme di partecipazione, offrendo finalmente al singolo iscritto la possibilità di contare sulle scelte della struttura a cui liberamente aderisce.
      La proposta di legge che si sottopone all'attenzione del Parlamento intende offrire strumenti di trasparenza per favorire il massimo di partecipazione dei cittadini alla vita dei partiti e della politica.
      L'articolo 1 individua la forma partito ai sensi della norma costituzionale e stabilisce regole certe per l'approvazione degli statuti, che siano realmente rappresentativi della maggioranza del «corpo elettorale» di riferimento, le quali regole il partito resta libero di individuare nella propria «carta».
      Particolare menzione merita la norma relativa al simbolo della forza politica. L'eventuale partecipazione del partito ad una lista elettorale recante un simbolo diverso da quello allegato allo statuto deve essere disposta con una precisa procedura, come previsto dall'articolo 4.
      L'articolo 2 statuisce il diritto del cittadino a vedere accettata o negata, in tempi celeri, la domanda di iscrizione al partito. Allo scopo è previsto un foro interno di appellabilità rispetto al rifiuto di iscrizione. Si fissa anche una regola di trasparenza per il versamento della quota di iscrizione, attraverso bonifico bancario o postale individuale, per stroncare il turpe fenomeno della moltiplicazione delle tessere.
 

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      Inoltre si fa riserva al partito di fissare la quota di iscrizione in misura differente per categorie di cittadini, il che comporta eguaglianza di trattamento in rapporto a diverse condizioni.
      L'articolo 3 istituisce il comitato di garanzia: il partito decide liberamente, nello statuto, di quante persone esso sia composto, senza limite anche per quel che riguarda eventuali forme di articolazione territoriale.
      È importante il regime di incompatibilità che riguarda ciascuno dei membri dei comitato: non si tratterà di dipendenti del partito; saranno non candidabili per qualsiasi elezione fino a cinque anni successivi alla scadenza del mandato e saranno incompatibili con nomine e incarichi di partito o amministrativi. Ciò al fine di rafforzare l'autorevolezza e l'indipendenza di veri e propri saggi chiamati a garantire il corretto andamento della vita dei partito. Il comitato è nominato con delibera della direzione nazionale del partito.
      Il comitato potrà essere attivato da un numero diverso di iscritti a seconda del livello territoriale delle questioni.
      Lo statuto dovrà altresì disciplinare i casi di provvedimenti di particolare rilievo, ad esempio il commissariamento di articolazioni territoriali del partito, che potranno essere impugnati di fronte al comitato.
      L'articolo 4 interviene sulla selezione delle candidature a qualsiasi tipo di elezione. È lo statuto a fissare le competenze degli organi deputati all'approvazione delle liste, potere non delegabile ad altri organi.
      Qui viene prevista la modalità di partecipazione del partito ad elezioni con simbolo diverso dal proprio: la fattispecie viene stabilita con voto segreto dell'organo competente e l'iscritto che risulti candidato in difformità da quanto previsto dall'articolo 4 decade dalla iscrizione.
      L'articolo 5 affida al partito il compito di stabilire il numero massimo di mandati elettorali ovvero di incarichi interni che ciascun iscritto può ricoprire e stabilisce anche le ipotesi di deroga alla norma.
      L'articolo 6 afferma il principio della parità di genere nella presentazione delle candidature, non precostituendo l'elezione certa dei candidati, affidando questo compito alla determinazione dei partiti e degli elettori.
      L'articolo 7 afferma il rispetto della residenza nel territorio in cui si concorre per l'elezione.
      L'articolo 8 obbliga alla pubblicità dei nomi delle persone componenti gli organi dei partiti che promanano dal congresso nazionale ovvero da quello locale e ne stabilisce l'incompatibilità con incarichi pubblici, fatti salvi quelli relativi alle giunte di carattere locale. Ciò al fine di evitare la proliferazione di incarichi per ragion di partito.
      L'articolo 9 detta le regole concernenti i diritti delle minoranze. Si stabilisce la soglia di almeno il 5 per cento dei consensi raccolti nelle sedi locali e nazionali per definire la minoranza. I partiti prevedono norme specifiche di salvaguardia in omaggio al «metodo democratico» di cui all'articolo 49 della Costituzione e assicurano la presenza proporzionale negli organi collegiali, ad eccezione degli esecutivi di vertice. Gli statuti garantiscono le forme della presentazione delle candidature alle elezioni, del controllo sulla gestione del finanziamento pubblico, del pluralismo informativo interno.
      L'articolo 10 garantisce l'obbligo di criteri predeterminati per la ripartizione del finanziamento pubblico fra organizzazioni centrale e periferiche dei partiti.
      L'articolo 11 fa salvo il diritto del cittadino a ricorrere alla corte d'appello per il rispetto delle regole derivanti dalla legge.
      L'articolo 12 obbliga i partiti ad adeguare i rispettivi statuti entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, condizionando l'erogazione del finanziamento pubblico e dei rimborsi elettorali al rispetto delle norme ivi contenute.
      Per le ragioni sopra esposte, si confida in una celere approvazione della presente proposta di legge.
 

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